Antes de la final de la Eurocopa 2012

Marías: questa sfida ha una giustizia poetica

‘Benedetto calcio, balsamo e oppio ma l’ allegria dei poveri non dura’

Non c’ è la storia a dividerci. Non ci sono ricordi di guerra e nazionalismi protervi. Non ci sono nonni che ancora oggi non possono sentir parlare quella lingua. Se non giocassero una contro l’ altra stasera Italia e Spagna tiferebbero l’ una per l’ altra. Il campionato veroè finito giovedì notte fra Varsavia e Bruxelles. Abbiamo già vinto lì, su tutti e due i tavoli. Il derby latino è un derby dolce. «Simpatico, di quelli che chiunque perda non sarà gravissimo», dice con un sorriso nella voce Javier Marìas, il più grande degli scrittori spagnoli, il suo cuore così bianco. Tifoso del Real, «e della Spagna certo, ma anche un poco dell’ Italia. Non dimentico la notte in cui scendemmo in strada a festeggiare la vittoria dell’ 82 contro la Germania. Eravamo davvero felici».

Nel suo Selvaggi e sentimentali racconta il calcio con sguardo adulto e anima di bambino. Con indulgenza e passione, senza mai perdere il disincanto che lo distingue. Anche oggi comincia così. «Benvenuto oppio», ride. «Un comunista d’ altri tempi si scandalizzerebbe a sentirlo ma la distrazione che ci offre oggi il campionato europeo è inoffensiva: meritiamo un po’ di riposo, le uniche pagine dei giornali che si possono leggere senza brividi sono quelle dello sport, neppure quelle della cultura, ormai…».

Un oppio che dura un mese. «Appunto. Non è grave. Vincere in campo fa bene, nessuno dimentica che c’ è un’ altra partita, molto più grande. Non siamo più innocenti, e sappiamo tutti – o quasi tutti – che una partita non cambia nulla. È un balsamo momentaneo per l’ anima, poi la gente che non ha un impiego continuerà a non averlo, chi soffre la povertà continuerà a soffrirla. Solo, per 90 minuti, c’ è un po’ di respiro».

Non trova interessante che a vincere siano le squadre dei Paesi in più grave difficoltà economica? Come se dalla sofferenza nascesse una capacità di reagire, una ragione di riscatto. «No, non ci vedo riscatto. Mi sembra piuttosto interessante che le nostre squadre vincano malgrado i nostri Paesi siano in crisi. Nonostante. Come se il piano della vita e quello del gioco non si toccassero mai. Abbiamo grandi giocatori, questo è un fatto. Poi certo c’ è dell’ ironia nella circostanza che i Paesi più forti non siano in finale. Una specie di giustizia poetica. Ma l’ allegria in casa del povero, si sa, non dura molto».

Napolitano ha scritto una lettera a Prandelli in cui accosta la squadra al Paese. Anche in Spagna si sente questa identificazione? «Io do al calcio molta importanza ma mi pare un po’ esagerato. Avvertirei il pericolo di ingannarmi: la passioneè grandee il risultato di alto valore simbolico, ma poco durevole. In ogni caso è una buona intenzione».

Nel derby latino vede più somiglianze o differenze fra le squadre e fra i popoli? «Gli spagnoli si percepiscono nel confronto come più seri, meno divertenti. L’ Italia in generale e anche il suo calcio hanno la reputazione – vera o no – di furberia, grande gioco e piccoli inganni. Gli spagnoli si sentono un po’ più nobili e superbi, orgogliosi in un senso che a me dispiace. Mi piace la leggerezza degli italiani, quando non è un tranello. L’ atteggiamento di queste ore, in Spagna, è: vediamo se noi più nobili battiamo i più furbi. Abbiamo avuto un certo complesso di inferiorità, in passato. Abbiamo battuto l’ Italia solo ai rigori, mai con un risultato chiaro. C’ è molto rispetto per la squadra azzurra. Fa un po’ paura. Saremmo stati più tranquilli con la Germania».

C’ è forse un po’ di rammarico per aver lasciato, nella partita con la Croazia, che l’ Italia passasse il turno? «Ma assolutamente no, al contrario. Proprio per quest’ idea che gli spagnoli hanno di essere squadra nobile e onesta – è l’ idea che agli spagnoli piace avere di se stessi, sempre più ingiustificatamente. Non si sente come un credito, quello. Sarebbe stato gioco sporco. L’ Italia non ci deve niente, era quello che si doveva fare».

Non trova che un poco, nel tratto sobrio e in una certa eleganza, Prandelli e Del Bosque si somiglino? «Sì, in qualcosa. Prandelli sembra così tranquillo, davvero elegante. Ha fatto giocare l’ Italia in un modo più attraente che in passato. Un gioco d’ attacco, bello. In un certo senso più spagnolo.A me piaceva anche il catenaccio, ma questo calcio è migliore. Del Bosque è un vero spagnolo antico, serio, generoso con l’ avversario, davvero un gentiluomo. È difficile trovargli difetti, è rispettoso e molto rispettato. Un bello specchio per gli spagnoli. Mi piacerebbe che fossero così, purtroppo non lo sono. Non così diverso da Guardiola. Solo più vecchio, e castigliano».

Cosa pensa di Balotelli? «Mi sembra molto ansioso, a ragione, di riscattare un passato difficile. Un giocatore capace di belle cose ma anche pessime. Ci vedo del risentimento, certo giustificato per il razzismo odioso di cui è stato oggetto. Ma il bisogno di riconoscimento dopo la fase del decollo può diventare un peso per chiunque. Comunque è giovane».

I suoi preferiti in campo? «Amo Casillas, che siccome è il portiere non sembra così importante ma lo è come capitano e come uomo. Nell’ Italia Pirlo, in questo Europeo, alla sua età, un grandissimo».

Dove vede di solito la partita? «A casa, da solo. Eccezionalmente stasera forse ospiterò un’ amica molto ansiosa».

Dunque non è scaramantico, non rispetta il rituale… Un pronostico? «La mia speranza è che se l’ Italia non è stata capace di fare un gol all’ Inghilterra mediocre in 120 minuti allora, dato che la difesa della Spagnaè molto forte, non sarà facile che ci faccia gol. Spero e penso. Dico: 52 per cento Spagna, 48 Italia. Ma se dovesse vincere l’ Italia non sarebbe triste. Noi spagnoli abbiamo tifato Italia per molti anni, tutti quegli anni in cui la Spagna giocava malissimo. Nell’ 82 era un po’ come se avessimo vinto anche noi».

Potrebbe finire ai rigori. «Ecco, no. Se c’ è una cosa che non posso sopportare è il pensiero dei rigori. C’ è qualcosa al mondo di più folle, assurdo, irragionevole dei rigori?»

CONCITA DE GREGORIO

La Reppublica, 01 luglio 2012

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